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INCLUSIONE O ASSIMILAZIONE

In questi giorni assistiamo ad un’escalation del fenomeno dell’immigrazione "clandestina" sulle nostre coste.

Si tratta di un processo globale, legato ad un intreccio di fattori socio-economici, bellici e climatici che è assai difficile discernere ed affrontare.

Nella nostra quotidianità, a Verona, il problema si ripercuote su una convivenza non sempre serena, specialmente nei quartieri di periferia.

Si verifica una separatezza, non di rado figlia di oggettive condizioni di povertà endemica, marginalità e sfruttamento. Non per tutti è così, c'è chi si è pienamente realizzato, ma l'una cosa non esclude l'altra.

Per una parte di coloro che arrivano qui carichi di aspettative la scorciatoia di un'esistenza border line diventa un'eventualità, che non ha alcuna giustificazione, ma esiste nei fatti, come è avvenuto, a suo tempo, per esperienze consimili nella nostra storia italiana di emigrazione.

In passato, nell’amministrazione comunale della città, vi sono stati progetti che hanno provato ad affrontare il tema dell’isolamento tra le etnie, del superamento della diffidenza tra "nativi" e nuovi arrivati.

Grazie in particolare allo strumento della Consulta per l'Immigrazione (2007) si cercava di sintetizzare e comprendere i bisogni e gli interessi delle varie Comunità e delle Associazioni locali che nel tempo le hanno affiancate, 

L’attuale Giunta Comunale non ha ancora mosso dei passi formali in questa direzione.

Ci pare di capire che la Consulta per l’Immigrazione sia stata ritenuta uno strumento superato, che l’avvento di seconde e terze generazioni di persone figlie di immigrati ponga sfide nuove e diverse da quelle che si affrontavano 15 anni fa, ai tempi della giunta Zanotto.

C’è del vero in questa comprensione della realtà, testimoniato da coloro che sono nati qui o vi sono arrivati da piccoli, che stanno frequentando il nostro sistema scolastico e che chiedono di essere riconosciuti come abitanti nativi del territorio. Si faccia attenzione però, perché questa nuova realtà convive con la oggettività di chi arriva da ragazzo o da adulto e/o in ogni caso sente forte il richiamo delle proprie origini. E' utile non perdere di vista anche questa dimensione del fenomeno Immigrazione. Inoltre il diritto individuale alla cittadinanza non può essere separato da quello collettivo alla partecipazione.

“Il modello di integrazione francese, ad esempio, è di tipo assimilazionista ed è basato sulla concezione di uno stato laico che non riconosce diritti e trattamenti speciali alle minoranze etniche, ma che anzi favorisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”.

“Il problema del modello francese è che ha creato al suo interno delle lacune che nessuno ha saputo risolvere. Non mostrare in pubblico segni della propria cultura e religione non vuol dire, per esempio, rispettare quella del Paese ospitante. Non poterlo fare, piuttosto, obbliga una sorta di privazione di qualcosa che si ha sin dalla nascita. Questo ha enfatizzato una ghettizzazione che ha preso forma nelle Banlieue, quartieri della periferia di Parigi, dove vivono gran parte degli immigrati di origine musulmana” (*) fonte: Luana Targia.

Legittimo per chi affronta una vita nuova tagliare i ponti alle proprie spalle o, se nato/a qui, non provare alcun legame, se non vagamente affettivo, con il Paese d’origine dei propri Antenati. Chi governa deve perseverare però nel realismo e nell'attenzione alle differenze che permangono, perché tutti ci portiamo dietro una storia individuale, familiare e collettiva ineludibile e prima o poi essa troverà il modo di farsi notare.

Il "politicamente corretto", in ogni caso, non deve portare al paradosso dell'annullamento di sè, per quanto riguarda l'essere italiani, (tri)veneti e veronesi, o alle rinuncia delle tradizioni millenarie radicate sui nostri territori. Non è a questo che aspiriamo, ma alla capacità di vivere le diverse tradizioni aggiungendo opportunità, senza togliere nulla, in un clima di tolleranza e reciproco rispetto. L'abolizione del Natale nelle scuole come ricorrenza religiosa ed identitaria, per esempio, è una operazione di omologazione alla cultura grigia della genericità e dei consumi. Lo troviamo un approccio negativo e spersonalizzante, pur nella massima libertà di astenersi per chi non ci trova niente da festeggiare (anche tra i cosiddetti "locali"). 

Per il prossimo periodo pensiamo che il dualismo tra spinta omologante e pulsione identitaria non sia misurabile, se non in molti decenni (il tempo necessario perché si formi una nuova forma se non una cultura della convivenza); siamo destinati ad una società multiculturale. Il punto quindi non è se questo avverrà, ma se il percorso che ci porterà nella nuova dimensione sarà occasione di conflitto o di convivenza pacifica e su questo argomento le amministrazioni locali rivestiranno un ruolo importante.

Dobbiamo trovare il modo, ad esempio riguardo alla libertà di culto, alla emersione di tradizioni diverse che non scadano nel semplice folklore, alle problematiche legate a casa e lavoro (di tutti, a prescindere dalla provenienza), di istituire uno o più tavoli di dialogo permanenti con le Istituzioni locali, gli operatori e le associazioni del settore. E se non si potranno formalizzare queste entità, per le consuete rivalità e ripicche della politica, noi di Demos spingeremo per renderle informali, coinvolgendo in un “Gruppo di Contatto” gli Amministratori (a partire dalle Circoscrizioni) e i membri della Giunta e del Consiglio Comunale che si renderanno disponibili.

Il dialogo e il negoziato sono strumenti efficaci anche per la cosiddetta “sicurezza”, ma non si possono improvvisare, si studiano e/o si imparano. Abbiamo l’umiltà di farlo e utilizziamo le esperienze maturate sul campo a cui possiamo attingere, senza preconcetti.

Noi di Demos porremo al più presto la questione sui tavoli competenti, ma poi, in ogni caso, prenderemo l’iniziativa.

DEMOS - Democrazia Solidale - VERONA

lente

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